L'associazione a base di venetoclax più rituximab è in grado di mantenere, anche dopo quattro anni nel 64% dei pazienti la negatività di 'malattia minima residua non rilevabile
Un trattamento della durata di due anni con una terapia di associazione a base di venetoclax più rituximab è in grado di mantenere, anche dopo quattro anni nel 64% dei pazienti con leucemia linfatica cronica, la negatività di 'malattia minima residua non rilevabile', mentre l'87% di essi rimane libero dalla progressione della malattia già due anni dopo il trattamento. Lo dimostrano i dati a 4 anni dello studio Murano che confermano l'efficacia di un meccanismo d'azione in grado di attivare la morte programmata delle cellule tumorali (apoptosi). "La malattia minima residua non rilevabile (Mrd) - spiega Antonio Cuneo, Direttore della sezione di Ematologia dell'AOU Arcispedale Sant'Anna di Ferrara - è la presenza di meno di una cellula di leucemia linfatica cronica in 10.000 globuli bianchi rimasti nel sangue o nel midollo osseo. Di fatto, in seguito al trattamento, la malattia risulta talmente residuale da non essere rilevabile con gli strumenti diagnostici oggi disponibili".
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L'8° Simposio Internazionale sulla Leucemia Acuta Promielocitica (LAP), tenutosi a Roma il 10 e 11 aprile 2024, ha esplorato nuovi approcci terapeutici per minimizzare le complicanze della malattia e migliorare la qualità di vita
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